domenica, aprile 19, 2009

nativi digitali VS figli di Gutenberg ?
























immagine di Courosa.

Riporto quì un articolo che mi ha colpito sperando che qualcuno commenti e mi proponga riflessioni..

NATIVI DIGITALI VS FIGLI DI GUTENBERG?
di Paolo Cardoni
E’ uscita la nuova circolare sui libri di testo (C.M. n. 16 del 10 febbraio 09). Un appuntamento fisso, che appare sempre meno comprensibile… Ma vediamo innanzitutto cosa dice.
Tra la fine di marzo e la seconda decade di maggio il rito della “scelta” di una nuova adozione o della conferma di quella già in uso, dovrà essere compiuto in tutte le scuole (entro il 31 marzo per le classi dove sono presenti alunni con disabilità visive, entro il 15 aprile per la scuola secondaria di primo grado ed entro la seconda decade di maggio per la scuola primaria e secondaria di secondo grado). I testi adottati, andranno necessariamente mantenuti per cinque anni nella scuola primaria e per sei anni nella scuola secondaria. La gratuità è prevista per la scuola primaria, mentre sono previste agevolazioni per la scuola secondaria di primo grado e per il biennio delle superiori, in base alle misure introdotte dal Governo di centrosinistra nel 1998.
I prezzi di copertina saranno stabiliti, tramite un D.M. di prossima emanazione, sulla base dell’art. 15 della legge 133/2008. Ma la novità vera – per così dire – sta nell’indicazione di adottare libri in versione on line, scaricabili in tutto o in parte da internet. Dopo una fase transitoria, dal 2011/2012 – si legge nella circolare - le scuole potranno adottare solo libri “scaricabili” (non si capisce bene, in verità, se solo libri anche scaricabili o unicamente libri scaricabili: “il collegio adotta esclusivamente libri utilizzabili nelle versioni on line scaricabili da internet o mista”; v. il punto d) del punto 3.3 “i vincoli”, della circ. citata).
In una serie di passaggi si motiva questa indicazione, sostenendo che “ormai” è arrivata sui banchi di scuola (pardon, sui desk) la prima generazione dei “nativi digitali”, che sembra essere tutt’altra cosa rispetto ai “figli di Gutenberg” – “il rapporto con la realtà e l’approccio alla conoscenza... sono ormai significativamente diversi” (sic!) - , e che “ormai” oltre l’80% delle scuole risulta dotato degli strumenti necessari ad aprire questa nuova era.
Il sindacato ha espresso un giudizio negativo. Perché si costringono le scuole a mantenere gli stessi libri di testo per cinque anni nella scuola primaria e per sei anni nella scuola secondaria (il che contrasta evidentemente con l’autonomia scolastica e limita la libertà d’insegnamento e l’autonomia professionale dei docenti). E perché l’obbligo di adottare solo libri di testo in versione on line non sarà di nessun sostegno alla spesa della famiglie, dato che i costi dell’eventuale stampa da parte degli alunni possono superare il costo di copertina del libri di testo, con una qualità indubbiamente inferiore. Ma soprattutto perché l’uso delle tecnologie informatiche è ben lontano dall’essere generalizzato tra le famiglie.
Poche riflessioni si possono aggiungere a questo quadro. A partire dalla domanda: ma perché continuare con queste inutili circolari, che finiscono solo col riecheggiare l’antica disciplina del libro di stato, ora nella versione più aggiornata di “libro e dischetto, studente perfetto”? Non si è già detto tutto, quando si dice che gli insegnanti sono autonomi, cioè liberi, di scegliere in funzione del proprio metodo e nel rispetto degli studenti che hanno di fronte? Non basta fissare un tetto di spesa, oltre il quale si può acquistare solo se si vuole? Non è sufficiente il controllo incrociato e reciproco tra i docenti stessi, i dirigenti e le famiglie?
Siamo statalisti; ma nel senso corretto del termine. Per restare in tema, potremmo dire: lo stato si occupi dell’hardware e lasci però che gli operatori si occupino del software. Diversamente, ogni governo continuerà a far sentire il proprio peso la dove non c’è motivo di farlo sentire, piuttosto che misurarsi con i problemi veri: dotare tutti di strutture idonee, di strumenti aggiornati ed efficienti, assicurare le migliori condizioni generali per docenti e studenti… questo è l’hardware! Al contrario, porre con toni perentori il problema dei libri “scaricabili”, quando sono anni che si dibatte sugli e-book e sulle trasformazioni che il web sta introducendo nel campo degli apprendimenti, e da anni si chiedono e si attendono interventi strutturali, rischia di rivelarsi nella migliore delle ipotesi semplicemente inutile, qualcosa di cui non potrà tenere conto.
Del resto, sappiamo che non c’è scuola che non inviti e, nei casi migliori, che non insegni, a utilizzare il grande magazzino depositato nel web – la circolare ottimisticamente afferma che l’80 % delle scuole sono dotate del necessario per collegarsi alla rete, ma prudentemente si riferisce solo ad un uso “occasionale o sistematico” del collegamento in rete per la didattica - . Non affronta, però, – e come potrebbe? - il problema vero, che resta sempre quello della didattica, e quindi della capacità dei docenti di guidare i processi di apprendimento piuttosto che subirli o certificarli soltanto: chi sa – e può - far lavorare i ragazzi in questo modo, lo fa già egregiamente, e da tempo; ma trova difficoltà insormontabili quando i ragazzi non possono seguire percorsi di apprendimento organici per mancanza oggettiva del materiale o dello strumento proposto.
Quanti hanno effettivamente la strumentazione necessaria in casa? E chi non ce l’ha, fino a che punto può essere aiutato dalla strumentazione offerta dalla scuola (cfr. i dati sulla diffusione delle tic, in VS n…).? Sono sufficienti gli investimenti previsti per aumentare le dotazioni di ciascuna scuola? Che senso ha dire: da domani tutti lavorano on line? Bisognerebbe almeno aggiungere: tutti quelli che possono…; e gli altri? Al solito: si salvi chi può!
Ma c’è dell’altro. Qui si parla di libri di testo, non genericamente di strumenti utilizzabili per la didattica. Tralasciando la questione dei testi letterari (costa di più fotocopiare una novella del Decamerone e distribuirla, o “scaricarla”, stampandone tante copie quanti sono gli studenti? O si pensa che basterà dire “stampatevi da pagina a pagina del Decameronline, perché tutti abbiano la stessa copia davanti?), e in genere delle discipline umanistiche (stampatevi un capitolo di storia, oppure il mito della caverna di Platone…), siamo sicuri che libri solo on line, ridotti in fogli stampati e mal fascicolati, favoriscano gli apprendimenti? Non è necessario chiedersi qui che cosa significhi “apprendere” o “studiare”, con tutto ciò che comporta l’acquisizione di un metodo autonomo ecc., per concludere che la questione è piuttosto complicata. Né vale più di tanto il discorso sulla “motivazione” maggiore che deriverebbe agli studenti dall’usare una tecnologia “ormai” familiare.
E’ proprio vero che i ragazzi sono più interessati e motivati, che si sentono a proprio agio più di fronte a uno schermo che di fronte a un testo stampato? Chi ha qualche pratica diretta di tesi e tesine “scaricate”, nutre crescenti perplessità, anche se nessuno si sogna di negare l’utilità di questi strumenti, le facilitazioni nella ricerca e nell’accesso alle informazioni che essi garantiscono. E’, appunto, materia di dibattito e di studio, e continuerà ad esserlo; del resto, nessun docente si è tirato indietro di fronte alla sfida posta dalle TIC, che convivono già da anni con tutti gli altri strumenti più tradizionali della didattica; ma che senso ha imporre di adottare “solo” una forma? Ha senso proporla come occasione per risolvere l’annoso problema del “peso” dei libri di testo, che ogni insegnante o collegio docenti sa bene come affrontare, caso per caso?
Ma è dal punto di vista di chi insegna che si pongono i problemi più consistenti, a cominciare da quello della libertà metodologica e dell’autonomia nelle decisioni che riguardano la scelta degli strumenti di volta in volta ritenuti migliori. Il richiamo all’autonomia scolastica resta, ma solo in forma retorica. Nella sostanza, imporre una scelta del genere, invece di limitarsi a renderla possibile, significa negare ciò che si afferma in via di principio.
Si continua a dire ai docenti cosa e come debbano fare, come se non fosse più che sufficiente il riferimento all’autonomia. Chi meglio e più di loro (e dei dirigenti) può sapere se è il caso o no di sostituire un libro, di utilizzarlo in determinati casi piuttosto che in altri, di integrarlo con materiali diversi ecc.? chi conosce meglio gli studenti e le rispettive famiglie? La verità è che all’autonomia degli insegnanti non ci crede nessuno, nessuno la vuole veramente e non pochi probabilmente la temono: “autos” e “nomos”! parole arcaiche, dal significato potente. Del resto, da un governo sedicente liberale che pretende di spiegare e di imporre anche ai medici cosa e come fare, cosa aspettarsi?
La verità è che ci si continua a muovere senza una bussola, con un pernicioso stop and go tra modernità (discutibile) e sostanziale tradizionalismo pedagogico, che lascia la scuola sempre più sola, mentre le cose vanno avanti – o indietro - per conto loro. Pseudoprovvedimenti: questo è ciò che ci troviamo di fronte (chi ricorda più la promessa della lavagna multimediale?), guidati da logiche vecchissime e non professionali, da un lato; e dall’unico criterio guida sempre riconoscibile, che è il taglio delle spese. Le prime rimandano a un vecchio modo di fare scuola: dagli esami di riparazione (a proposito: che fine hanno fatto i corsi di recupero?), alla valutazione in decimi, al voto di condotta, ai grembiuli, al maestro unico…: grandi innovazioni!
Il secondo, si traduce in riduzione pura e semplice di quantità e qualità dei servizi: rinuncia ai team, aumento del numero di alunni per classe, riduzione del numero di ore di insegnamento, fino a questa presunta riduzione della spesa per libri e attrezzature didattiche. Riduzioni illusorie, perché in ogni caso si finisce con lo scaricare sulle famiglie i costi corrispondenti alle spese che vengono tagliate. E peggio per chi non può permettersi di fronteggiarle: lingue, ripetizioni, recupero, stampa di manuali direttamente dai siti delle case editrici, attività sportive. E poi, un maestro di tutto, uno d’inglese e uno di religione: questo passerà il convento.
Che altro dire, di fronte a una circolare che ai docenti spiega quali siano “le funzioni dei libri di testo” per dimostrare che vanno superati? Si può solo ricordare come in un noto racconto I.Asimov, il padre della fantascienza moderna, immaginasse un mondo senza libri e senza scuola.
“Oggi Tommy ha trovato un vero libro… era un libro antichissimo. Il nonno aveva detto una volta che, quand’era bambino lui, suo nonno gli aveva detto che c’era stata un’epoca in cui tutte le storie e i racconti erano stampati su carta… si voltavano le pagine che erano gialle, fruscianti ed era buffissimo leggere parole che se ne stavano ferme invece di muoversi…” 1. E’ un mondo in cui il computer sta al posto dell’insegnante, anzi è l’insegnante. Mito, speranza, utopia negativa? Ma è un mondo già vecchio, che Asimov immaginava già nel 1954, e che non darà frutti diversi da quelli dati dalla tv, “cattiva” non in sé, ma come maestra, come baby sitter, come modello culturale… Perché il maestro, al di là di ogni retorica, non può che essere un tuo simile, nel bene e nel male… Il racconto di Asimov si conclude con i bambini che ri-scoprono i libri e, assieme ai libri, la scuola, e concludono con un nostalgico: “chissà quanto si divertivano, stando insieme e con un maestro vero, piuttosto che da soli di fronte a un maestro meccanico…” Abbiamo fatto un altro passo avanti verso il nulla?

1 I.Asimov, “Chissà come si divertivano”, in Tutti i racconti, Mondadori, 1995, p.145

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