mercoledì, novembre 05, 2008

Alcune considerazioni di un´impolitica....

Alcune considerazioni di un´impolitica.

Quest´anno, per la prima volta in quindici anni di insegnamento, ho firmato il documento di agitazione degli studenti - il solito documento in cui, una lista di docenti un po´ troppo precocemente entusiasti, abitualmente, controfirma il cominciamento delle ostilità - del malessere scolastico periodico.
Perché l´ho fatto? mi sono forse lasciata prendere, per una volta tanto, dall´entusiasmo anch´io? non direi. Ero e resto, fondamentalmente, una impolitica. Per carattere; per generazione - quella che aveva diciott´anni con Craxi al governo e i giovani si chiamavano "paninari" o yuppies, e con la politica non c´era niente da fare per nessuno, tranne che per quelli che ci facevano le tangenti. Per scelta e per disagio - la difficoltà di aderire alle forme costituite, anche quelle politiche, partitiche etc. - la difficoltà a schierarmi, ad essere parte di qualcosa di costituito. Etc. Ma perché ho firmato? perché quest´anno, con questo governo che ci è ripiombato addosso e che ancora chissà per quanto ci succhierà energie e risorse morali e materiali, il disagio mio e di quelli che mi stanno intorno si è fatto più grande. Certo, è anche cresciuta la triste consapevolezza che in Italia abbiamo un governo che rappresenta, con buona pace di chi non vuole accettarlo, un´anima profonda e atavica del paese. Certo, è cresciuta la consapevolezza che l´Italia è un paese di destra; che la sinistra ha fallito, ancora, che non ha saputo fare, non ha saputo riconoscere un´identità comune e forte. Etc. Il malessere che sento, da impolitica, è un malessere profondo; accresciuto, certo, dalla difficoltà di aderire all´opposizione costituita - essere impolitica è anche rifiutarsi alle semplificazioni e ai miti che rassicurano, forse; e forse non è nemmeno un merito; in certi casi è piuttosto un vizio e un tormento inutili. Il malessere che provo è profondamente radicato nella mia professione, piuttosto che nella politica. Non ho mai voluto aderire alle barricate studentesche - anzi, qualche volta sono passata per proffa "fascista" - perché mi è sempre sembrata una forzatura, a volte una violenza, sovrapporre le proprie motivazioni a quelle degli studenti; perché ho sempre avvertito la fragilità della loro identità politica; perché ho sempre sentito che, da adulta, da insegnante, dovevo stare dall´altra parte, per quanto difficile fosse. Perché sentivo che loro non avevano bisogno di "una come loro", ma di una che, anche nella contrapposizione, soprattutto nella contrapposizione, nel naturale divario tra adulti e giovani, li aiutasse a crescere. Mi sono sempre stati antipatici colleghi e genitori nostalgici, che appoggiavano le proteste per appagare se stessi, la loro nostalgia, incuranti delle amarezze che i ritorni all´ordine necessariamente avrebbero poi costituito. Ho sempre detestato l´ingenuità di chi non sa attribuire ai giovani altro che superficialità e vile disinteresse; e anche quella di chi li ha visti come puri e solleciti attori di possibili cambiamenti. Secondo me esistono troppi luoghi comuni, soprattutto fuori della scuola, che andrebbero rivisti. I luoghi comuni riguardano: giovani superficiali, insegnanti fannulloni, scuola inutile.... Ci fanno libri e film intrisi di inutile amarezza, di sconfitta compiaciuta da intellettuali del cavolo. Chi insegna seriamente sa distinguere i luoghi comuni dalle cose serie. Sa che tra i ragazzi, anche quellli più superficiali e "vuoti", c´è un malessere profondo. L´altro giorno un mio alunno mi diceva, con lucida disperazione: vorrei cambiare il mondo e ricado sconfitto ogni momento - non sono nemmeno capace di bere egualmente un succo di frutta che ho aperto e che poi non mi piace più. I ragazzi che leggono gli autori della beat generation, che ascoltano Bob Dylan con struggente malinconia e desiderio - il desiderio di poter finalmente vivere, di uscire dalla quiete senza desideri in cui languiscono a scuola, nelle famiglie, dei luoghi alienati dei loro divertimenti. Ma anche quelli che non tentano di respirare un´altra aria vivono un malessere, forse ancora più profondo, perché privo anche della nostalgia, del sogno. La politica, l´illusione della politica, costituisce per tutti un breve respiro fuori dai miasmi della normalità. La tregua in una sfilza di interrogazioni - spiegazioni - attività spesso poco legate da un senso, che non sia quello della narcisistica soddisfazione di essere bravi studenti. Bravi studenti senza futuro. O cattivi studenti, egualmente senza futuro. Questi ragazzi che vorrebbero da me, da noi, senso per quello che fanno e che vivono. Chiedono il permesso, il consiglio, per le attività di protesta che non riescono a desiderare fino in fondo - perché, realisticamente, prevedono sin da subito il ritorno all´ordine, con le proffe più incattivite che mai, pronte e compiaciute in inevitabili vendette postume.
Ma noi, che dovremmo fare? Quest´anno penso che non basti più aiutarli a ragionare senza schierarsi con loro, "per il loro bene". Ma neanche penso sia giusto e utile far causa comune. Le ragioni e le espressioni del malessere, nostro e loro, sono diverse e vanno affrontate disgiuntamente, secondo me. Noi siamo adulti che, per quanto disincantati e stanchi, abbiamo la forza che deriva da vite più strutturate, ancorate nelle responsabilità del quotidiano. E viviamo un disagio che richiede uno sfogo non effimero, non velleitario.
Quanti di noi si sentono rappresentati da partiti e sindacati? L´altro giorno chiesi a un collega "impegnato" di convincermi sull´utilità dello sciopero. E gli chiesi come mai nella scuola nessuna protesta dei prof avesse mai avuto seriamente luogo. Mi rispose: perché a scuola l´80°/° dei lavoratori è donna, e dunque poco interessata alla politica. Forse anche questo è un luogo comune. Forse anche un po´ maschilista! Forse è un luogo comune anche quello, a cui tendenzialmente credo, secondo cui le proffe, generalmente "mogli di", stipendi che valgono come "argent de poche", non abbiano alcun interesse al miglioramento e alla politica scolastica. Da qualche anno vedo che a scuola ci sono anche giovani colleghi/e attivi, preparati, e, soprattutto, capaci di vero amore per il loro lavoro, per quello che a volte è semplicemente una missione non retribuita. A volte un po´ sbilanciati, ma in buona fede, a volte un po´ troppo infervorati e attivisti, ma carichi di una energia e di una vitalità che lasciano traccia sicura nelle classi e nelle scuole che frequentano.
Che fare? Il famoso "blocco degli scrutini": una possibilità o un velleitario sogno? una effettiva maniera di farsi sentire, o una forma di protesta che lede noi stessi e gli studenti? Io credo che la nostra protesta, se riuscisse a coagularsi intorno ad un nucleo di docenti animati da sentimento affine, dovrebbe mirare anzitutto alla visibilità - una visibilità seria, non inutilmente o vistosamente polemica, composta, senza spettacolo, almeno non troppo. Breve e incisiva. Sufficientemente coesa e senza mirare ad unanimismi o a maggioranze compatte. Quelli che di noi se la sentono, a staffetta, per classi di concorso, potrebbero, per esempio, mettersi in malattia nei giorni degli scrutini. Oppure rifiutarsi a tutte le riunioni scolastiche (collegi, dipartimenti etc.). O boicottare le attività extrascolastiche, incentivate e non incentivate. E/o dedicare tempo, energie e risorse per pensare ad una scuola diversa e possibile - non un´utopia, ma piuttosto l´elaborazione di richieste fattibili entro l´attuale quadro economico e politico-scolastico: per esempio - articolare richiesta di politiche d´istituto meno orientate sull´"apparire" e sulla visibilità fine a se stessa e piuttosto orientate sulla ricerca di identità e progetti culturali forti e caratterizzanti; chiedere la gestione dei fondi e delle risorse per il potenziamento della formazione dei docenti, unico vero ingrediente fondamentale per una scuola che voglia migliorare la qualità del suo servizio. O tante altre cose che possono essere trovate. Ma che siano incisive, fattibili. Il momento della protesta dovrebbe essere ridotto ad un momento breve e d´impatto, ma senza indugi polemici o rivendicazioni inutili o personalismi. Mi piacerebbe, soprattutto, che un gruppo di noi si mettesse a lavorare con costanza e impegno per studiare soluzioni e modalità di intervento, di lungo e breve periodo. Ancora una volta, inevitabilmente, gratis e fuori dagli schemi e dalle modalità previste dall´istituzione. Attingendo alle nostre energie, alle nostre esperienze pluriennali; a quell´amore per il nostro lavoro con cui solamente, secondo me, è possibile muovere al vero cambiamento della scuola.

Paola Nasti

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